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COP26 PART II

Ci siamo lasciati con una catastrofe in arrivo, incombente e minacciosa. Ci siamo lasciati con i toni di chi, apparentemente, potrebbe ritenersi scettico di fronte ai giochi di parole della politica, quando si parla di cambiamento climatico. Eppure, anche a voler dar per vere le apparenze, non si vuol certo scrivere qui la parola fine sul futuro del pianeta. Anzi, piuttosto vogliamo riprendere da dove ci siamo solo appena immersi, ovvero da quel groviglio di dati e numeri che, nei fatti, è stato concretizzato con l’AR6, la cartella clinica del pianeta promossa dall’Intergovernmental Panel on Climate Change. Del rapporto, parziale ancora, abbiamo detto che ne stanno discutendo in questi giorni a Glasgow, in occasione della COP26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Un’occasione buona per un catering perfetto, certamente, ma anche per puntualizzare quanto sia d’attualità il tema: un tema che abbiamo diviso in sei punti e che, grazie all’indiretto aiuto del climatologo Gavin Schmidt, andremo a concludere.

 

Ancora tre punti chiave

 

Abbiamo quindi parlato di “questione collettiva”, di eventi naturali sempre più estremi e frequenti, ma anche di come abbiamo sempre più certezze di quello che si verificherà senza prendere adeguate contromisure. Ora, aprendo il quarto punto, andiamo a vedere cosa è successo. Grazie all’AR6, infatti, possiamo attribuire con precisione ogni livello di “responsabilità” dei gas serra emessi e del loro impatto sull’aumento delle temperature, il sintomo più importante del cambiamento climatico. E così, accanto all’anidride carbonica, che resta il male assoluto in termini di aumento delle temperature, si scoprono anche i reali effetti del metano, per esempio. Effetti non secondari, visto l’uso intensivo che si fa del gas con cui, sostanzialmente, 17,5 milioni di abitazioni in Italia si scaldano durante l’inverno. Il metano, quindi, ha contribuito all’aumento delle temperature negli ultimi dieci anni almeno al 50% di quanto non abbia fatto l’anidride carbonica. Non è il solo, ovviamente, ma è solo un accenno di come la nostra quotidianità abbia un impatto diretto sul clima. Un modo per un altro per sottolineare la pluralità degli elementi in gioco, oltre che delle responsabilità umane.

Le stesse responsabilità che hanno letteralmente essiccato il Madagascar, che da quest’estate sta vivendo l’incubo della carestia, derivata proprio dalla siccità conseguente ai cambiamenti climatici. Schimdt, non a caso, sottolinea nel quinto punto più importante dell’AR6 le difficoltà che si sono avute nel misurare proprio questo tipo di fenomeni, in relazione all’aumento delle temperature: i gradi che salgono, dunque, hanno costretto gli scienziati a ridisegnare i parametri di alcune misurazioni, al fine di ottenere risultati più attendibili. Tra i sistemi che sono stati messi “in crisi” proprio dal cambiamento climatico, c’è anche quello ideato da Wayne Palmer nel 1965 per stabilire la gravità di una siccità: il Palmer Drought Severity Index (PDSI). A prescindere dai tecnicismi delle misurazioni, con questa prima parte dell’AR6 si è presa sempre più coscienza sul cambiamento in atto, sfatando anche miti o strumenti che sembravano consolidati. Come, a proposito di miti, è stato il cosiddetto iato climatico: nel sesto punto presentato da Schmidt, infatti, si sbugiarda la credenza per cui nel periodo 1998-2012 si sia registrato un calo delle temperature. C’è stato un rallentamento, come confermato dall’AR6, ma in linea con gli andamenti delle temperature nel corso di tutto il Novecento. E la riprova che non si trattasse di un pericolo scampato, è stata il quinquennio 2016-2020, il più caldo dal 1850.

 

Non si pospone la sveglia

 

Ora, immaginate che la vostra sveglia mattutina, improvvisamente, non suoni. Di scatto, con precisione svizzera, riuscite però ad aprire gli occhi, rendendovi conto che solo pochi minuti vi separano dall’essere in ritardo. La situazione è irreversibile? Forse. Ma sicuramente, una causa che la renderebbe certa sarebbe proprio il perdere ulteriore tempo, magari commiserandosi o, peggio ancora, cercando di attribuire alla sveglia “che non ha funzionato” tutte le responsabilità. Ecco a che punto siamo, quando parliamo di cambiamento climatico. Ecco perché siamo sempre più insofferenti ai bla bla bla di una politica che rimanderà alla COP27 ciò che potrebbe già fare nella 26. Ma non serve un nuovo congresso per definire ciò che abbiamo provato a racchiudere in sei punti e qualche centinaio di parole: per come ci siamo conosciuti, non siamo più sostenibili.

 

Mattia Pintus & 

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