SPUNTI E APPUNTI PER UNA PROSPETTIVA ECOLOGICA

Introduzione al pensiero ecologico.

 

L’attenzione alla questione ecologica è cresciuta rapidamente negli ultimi anni generando una domanda sempre maggiore di rispetto dell’ambiente. Questo articolo si propone di essere un’introduzione al pensiero ecologico, e di stimolare nel lettore/lettrice una riflessione sul nostro rapporto con la natura e come esso sia un problema anche di giustizia sociale e generazionale.

 

Sebbene le prime discussioni politiche a tema ambientale avvenissero già a fine anni Sessanta, è soprattutto con la nascita dei movimenti di Fridays for Future che esse hanno raggiunto le piattaforme mainstream. Con la diffusione mondiale del Covid-19 e il conseguente confinamento forzato nelle nostre abitazioni, la natura si è riappropriata di uno spazio che abbiamo sempre considerato nostro. Il 2020 è stato anche l’anno dove l’innalzamento delle temperature ha provocato, per esempio, gli incendi sulla costa occidentale in Australia, l’invasione delle locuste nell’Africa dell’Est e in Sardegna, gli uragani transatlantici negli USA e le tempeste Ciara e Alex in Europa, di cui l’ultima nel Nord Italia. Noi, per la prima volta riconoscendo la nostra vulnerabilità, siamo diventati spettatori del rifiorire e ribellarsi della natura – soggetto altro e vivo.E così, il cambiamento climatico ha assunto i connotati di una vera e propria crisi, sottolineando il carattere emergenziale della questione ecologica.

 

Questo sentimento di impotenza ha messo in crisi il paradigma antropocentrico (o capitalocentrico) che domina il nostro sistema economico-culturale. Come sostiene Luigina Mortari in “Educazione ecologica” (2020), tale paradigma è anche supportato dall’assunto che il continuo sviluppo della tecnica ad opera dell’essere umano renda risolvibile attraverso nuove scoperte tecnologiche/scientifiche i problemi ambientali. In altre parole, si ritiene che sia possibile ridurre l’inquinamento, proteggere la biodiversità e frenare il surriscaldamento globale grazie alle innovazioni tecnologiche. Questo filone di pensiero, che come ricorda Mortari è estremamente comune nell’ambientalismo cosiddetto “riformista”, considera la natura non come soggetto e neanche come oggetto, ma piuttosto come risorsa da utilizzare all’occorrenza. Sebbene sia fondamentale riconoscere un ruolo centrale alla tecnologia nel mitigare i rischi ambientali, affidarsi solamente a quest’ultima rischia di non mettere in discussione il paradigma che ci ha portati ad avere questa relazione antitetica con la natura.

 

Quest’ultimo si basa su un sistema di produzione che alimenta la logica del consumo e depotenzia quella del riparo.  Di conseguenza anche il nostro stile di vita non considera la capacità di assorbimento e smaltimento del pianeta. Quando si supera il limite di assorbimento, all’aumentare della crescita economica non aumenta il benessere sociale. Inoltre, la sfrenata attività umana sull’ecosistema, comporta problemi di salute, catastrofi naturali, alterazione degli ecosistemi con conseguenti migrazioni globali, e impatta maggiormente sulle società più marginalizzate.

 

La crisi ecologica è perciò anche un problema di giustizia sociale, la quale prevede che tutti i soggetti possano avere equo accesso alle stesse opportunità. Tuttavia, il quantitativo di danno ambientale accumulato dai paesi di prima industrializzazione ha inibito in modo considerevole lo sviluppo dei Paesi più poveri. Secondo uno studio del 2019 di Stanford University sulle relazioni fra riscaldamento globale e disuguaglianze economiche, il riscaldamento globale accumulato nel periodo 1960-2010 dovuto alle attività produttive dei paesi europei, ha fortemente inibito lo sviluppo economico di paesi come India e Nigeria, e peggiorato sensibilmente la qualità di vita degli abitanti. Inoltre, l’innalzamento della temperatura a livello globale ha avuto un impatto maggiore nei paesi del Sud del mondo, in particolare nell’Africa meridionale, dove le forti siccità hanno rallentato – se non in alcuni casi distrutto – la produttività agricola locale. Ma non è tutto: le persone nate a cavallo fra i due secoli devono scontare l’enorme debito ambientale che hanno ereditato dalle generazioni precedenti.

 

Alla luce di queste considerazioni, in qualità di cittadinə abbiamo sicuramente la responsabilità di ripensare il nostro stile di vita alla luce di una rinnovata prospettiva ecologica, che contempli una revisione del rapporto “io-l’altro”. In quest’ottica è necessario liberarsi dall’egoismo di specie ed adottare un’etica della vita, che implichirispetto e cura per la salute di ogni essere vivente. Solo percependosi in relazione all’altro e abbattendo il concetto di gerarchia come metodo di organizzazione della società riusciremo a co-esistere come “rete” piuttosto che come “piramide”.

 

Queste problematiche non possono essere risolte con un cambiamento estetico. Come consumatori, è necessario chiedersi se il metodo di produzione di ciò che compriamo sia sostenibile – per le persone e per l’ambiente. Pretendere di più in qualità di consumatori renderà il greenwashing una pratica obsoleta e, stimolando un’offerta radicalmente diversa, potremo innescare processi economici alternativi. Oggigiorno, all’aumento di una offerta esteticamente più green, e di una generica consapevolezza ambientale, ancora non viene difatti messa in discussione la causa prima della crisi ecologica: il sistema di produzione largamente insostenibile, da un punto di vista sociale, ambientale, istituzionale ed economico. Come sostiene Mortari, finché l’economia non contemplerà l’etica, e il valore commerciale prevarrà su quello biologico, saremo sempre lontani da una co-esistenza eco-compatibile.

 

È chiaro che non possiamo aspettare che il cambiamento accada: dobbiamo innescarlo.